Indro Montanelli, il maestro buono, e Roberto Gervaso, l’allievo piduista, che spinse Berlusconi, allora editore del Giornale ad iscriversi alla P2.
Quelli che oggi si investono di tale titolo e, con grande presunzione e soprattutto senza pericolo di essere smentiti, affermano di conoscerlo meglio di qualunque altro. Il revisionismo che continua a sfigurare la memoria e il ricordo di uno dei più grandi giornalisti che l’Italia abbia mai potuto vantare si spiega con il fatto che anche da morto, Montanelli è più vivo e attuale che mai. La pratica di appropriarsi indebitamente delle sue parole ed utilizzarle per i propri scopi è in realtà qualcosa che sedicenti intellettuali, storici e politici, di destra come di sinistra, che già mettevano in pratica quando Montanelli era vivo. Penso, ad esempio, al tentativo di Feltri di raccontare al Raggio Verde, nel 2001, le “vere”, dal suo punto di vista, motivazioni del divorzio fra Berlusconi ed il giornalista. Solo che allora Montanelli, estremamente infastidito per le numerose fandonie che venivano raccontate, telefonò in diretta e sistemò per le feste il dotto Feltri. Ora non può più farlo. O almeno non direttamente. Ma restano le parole e pesano come un macigno sui numerosi “amici di Indro”. Uno di questi è il giornalista Roberto Gervaso che, nel suo ultimo libro edito da Mondatori “Io la penso così”, di Montanelli dice <era uomo di immense qualità e non pochi difettinessuno più di me può testimoniarlofu la mia via di Damascodivorzio consensuale, anzi consensualissimoCaro Roberto, con molto stupore ho sentito che mi accuso di non so quali malefatte nei tuoi confronti (…) è vero che quando scoppiò la vicenda P2 io non feci molto per trarti dai guai (…) Ma che tu mi ritenga corresponsabile delle tue disgrazie, è alquanto buffocon un senso di delusione
Montanelli aveva avuto modo di incontrare Gelli nel ’77, quando Il Giornale era in crisi economica e ne uscì profondamente basito. Lo disprezzò da principio e per lui ebbe sempre parole che tendevano sminuirne la forza eversiva. Sulle pagine del suo quotidiano lo definì:<La Loggia P2 <scrisse, ma per <e non per <
Di idea diversa, l’uomo d’ordine, Gervaso che spinse lo stesso Berlusconi, editore del “Giornale”, ad iscriversi alla P2 nel 1978.
Che Montanelli nutrisse dei dubbi sulle capacità dell’allievo Gervaso, lo dicono due altri scritti, presenti anch’esse nel Fondo di Pavia, ma sapientemente esclusi da un altro libro, quello di Sergio Romano edito da Rizzoli, “I conti con me stesso”. 4 aprile 1971 :<< Ho impiegato due giorni a leggere il Cagliostro di Gervaso (…). Che faccio ora? Se gli dico che è una porcheria, gli procuro un trauma. Se non glielo dico e glielo lascio pubblicare lo mando al massacro. Ho creduto di fare del bene a questo ragazzo, associandolo al mio lavoro. E ora mi accorgo di averlo rovinato(…)>>. Il giorno dopo racconta di avergli parlato, ma non di essere stato completamente sincero, di averlo <ingannato<<Invece di dirgli: Sono cose più grandi di te, non sei scrittore, contentati di fare il piccolo cronista, l’ho incoraggiata (…). Ma che maestro è uno che non sa bocciare..>>.
Ora di questo straordinario giornalista, maestro di vita si rischia perderne memoria, quella memoria giusta che custodisce la dignità e la professionalità di un Uomo che deve essere ricordato per quello che era e non per quello che qualcuno ha deciso che fosse in base alle proprie convenienze.
Ha scritto Montanelli nell’epigrafe del suo libro Qui non riposano, scritto nel suo esilio svizzero: .
Parole profetiche di chi sapeva già tutto, anche quello che non avrebbe mai visto o sentito.
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