Da Mario Greco al suo caro Jacopo Mazzei, da Squinzi a Tronchetti, da Palenzona a Bini Smaghi: se il governo Letta è immobile, tanto vale salire sul surf di Matteo – Gli unici che non si eccitano all’avvento del Rottamatore sono Ghizzoni, Bazoli, Guzzetti, e il duo del Lingotto a stelle e strisce, Elkann-Marpionne…
Stabilità chi? Se è vero che Matteo Renzi osserva il panorama politico con lo stesso sguardo di un surfista che non vede l’ora di poggiare la tavoletta su un’onda molto alta che potrebbe travolgere, sì, alcuni bagnanti (ciao, Enrico) ma che potrebbe forse lanciare con rapidità il surfista verso un orizzonte di successo, se tutto questo è vero, si può dire che il vento che soffia con maggiore forza sulla superficie dell’acqua, e che rischia appunto di travolgere da un momento all’altro alcuni bagnanti (ciao, Enrico), è generato dallo scontro tra una serie di correnti che hanno un nome preciso e che si ritrovano sotto la categoria di una particolarissima massa d’aria che ha improvvisamente cambiato direzione e che potremmo inquadrare con una definizione semplice: l’establishment.
L’onda al momento è appena visibile ed è solo una increspatura che si intravede laggiù sul confine fra il cielo e il mare. Ma più passano i giorni, più il governo va avanti, più Renzi mostra la punta della sua tavoletta, è più i volti che compongono questa particolarissima massa d’aria prendono coraggio, gonfiano le guance e iniziano a soffiare. E se mettete uno accanto all’altro i volti che – chi più, chi meno – hanno cominciato a soffiare si può capire perché il vento in questione non è un vento come tutti gli altri.
Prendete fiato: Mario Greco (numero uno di Generali), Diego Della Valle (capo della Tod’s, azionista di Rcs e Generali), Alberto Nagel (ad di Mediobanca), Jacopo Mazzei (presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo), Gian Maria Gros-Pietro (presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo), Giorgio Squinzi (presidente di Confindustria), Marco Tronchetti Provera (presidente di Pirelli, vicepresidente del cda di Mediobanca), Gianfelice Rocca (Assolombarda), Lorenzo Bini-Smaghi (presidente di Snam), Renato Pagliaro (presidente di Mediobanca), Francesco Gaetano Caltagirone (presidente del gruppo omonimo ed editore del Messaggero), Fabrizio Palenzona (vicepresidente di Unicredit), Andrea Guerra (ad di Luxottica) e ovviamente Carlo De Benedetti (editore del gruppo Espresso).
E la ragione per cui i nomi qui elencati hanno deciso di gonfiare le guance è più o meno per tutti la stessa: questo governo non è il peggio che ci poteva capitare ma dato che Letta non riesce a far viaggiare il paese alla giusta velocità di crociera è arrivato il momento di cambiare aria e di puntare sull’unico politico che potrebbe salire sul surf, prendere il timone e far cambiare rotta all’Italia: Renzi.
Con alcuni di questi nomi (Nagel, Pagliaro, Palenzona, Greco, Caltagirone, Rocca) Renzi ha un rapporto indiretto mediato dai filtri creati dagli amici Marco Carrai e Alberto Bianchi, entrambi punti di riferimento del Rottamatore nel mondo dell’establishment (il primo, tra le tante cose, è consigliere dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, quarto azionista di Intesa Sanpaolo, il secondo è il tesoriere della fondazione Big Bang di Renzi, e fratello di Francesco Bianchi, capo del Maggio musicale, ex direttore responsabile dello sviluppo strategico in Banca Intesa, fino al 2011 consigliere nel cda di Banca Popolare di Milano).
Con molti altri il rapporto è invece diretto e in diversi casi la richiesta di mettere un punto a questa esperienza di governo – premi il tasto finish, Matteo – il segretario l’ha ricevuta personalmente. E’ andata così con Tronchetti Provera (con cui Renzi è andato a colazione la scorsa settimana). E’ andata così con De Benedetti (con cui Renzi ha costruito un rapporto cordiale). E’ andata così con Della Valle (che dopo un periodo di rapporti burrascosi con Renzi è diventato un sostenitore della linea della rottamazione del governo, e che ogni tanto a Milano, negli uffici della Tod’s in Corso Venezia 30, organizza pranzi per il sindaco con alcuni osservatori stranieri).
Ed è andata così, per esempio, anche con Mazzei (che prima di arrivare ai vertici di Intesa è stato presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e che proprio a Firenze ha visto la figlia Violante sposare Bruno Scaroni, figlio di Paolo, ad dell’Eni). Nella grande e intricata geografia dell’establishment italiano – dove anche la Confindustria di Squinzi, ieri a colloquio con Letta, ha mostrato segnali di insofferenza per il governo – si può dire che gli ultimi pezzi da novanta rimasti a sostenere la tesi che cambiare verso a Palazzo Chigi potrebbe essere un azzardo sono influenti ma pochi. C’è Federico Ghizzoni, ad di Unicredit, sostenitore di Letta.
C’è Giuseppe Guzzetti, classe 1943, presidente della Fondazione Cariplo, che anche per questioni anagrafiche non si può considerare un talebano della rottamazione. C’è, seppur in modo più timido di un tempo, Giovanni Bazoli, capo di Intesa SanPaolo, nella cui banca però cominciano a essere molti i manager contrariati dall’immobilismo lettiano. In Intesa, poi, negli ultimi tempi si sono gonfiate in modo inaspettato le guance di un nome di peso come Gros-Pietro, che oltre a essere presidente del consiglio di gestione della banca è anche consigliere Fiat.
Al Lingotto però l’avanzata di Renzi, seppure sponsorizzata e finanziata da vecchi campioni come Paolo Fresco, che nel 2013 ha versato 50 mila euro alla fondazione renziana Big Bang, viene osservata senza entusiasmi eccessivi, anche perché in questa fase alla casa torinese interessa soprattutto riorganizzare il gruppo (e un governo come quello guidato da Letta viene percepito da Elkann e Marchionne come non ostile all’operazione Fiat-Chrysler).
L’onda descritta è dunque un’onda lontana e per Renzi seducente che al momento si muove sulla linea dell’orizzonte e che aspetta un gesto del surfista per avvicinarsi e tentare una qualche operazione spericolata (il voto, preferibilmente, o quanto meno un cambio al governo). Renzi è lì che aspetta. Aspetta di capire che fine farà la legge elettorale. Aspetta di capire che tempi ci saranno. Aspetta la propria tavoletta.
Con la consapevolezza, però, che questa particolarissima massa d’aria che ha cambiato direzione, e che se ne infischia della parola “stabilità”, potrebbe portare il Rottamatore dell’establishment a vedere improvvisamente nell’establishment un buon alleato per rottamare Letta. Chissà.