Convenzione di Instanbul, luci e ombre contro il femminicidio: e due “mostri” giuridici da eliminare
La Camera all’unanimità approva la Convenzione di Istanbul dopo le tirate d’orecchie del presidente Laura Boldrini quando l’aula della discussione era vuota. Ci sono però, tra i disegni di legge, due mostri giuridici che, qualora venissero approvati, metterebbero in seria difficoltà chi lotta contro il femminicidio. Si tratta in primis della possibilità di disporre gli arresti domiciliari per il condannato a una pena minore o uguale a 4 anni di reclusione e poi di quella che la pena dell’ergastolo venga abolita. Due cose che di certo non aiutano a definire l’Italia “un Paese per Donne”.
di Viviana Pizzi
Con la piena unanimità di presenze in aula la Camera dei Deputati ratifica la Convenzione di Istanbul riguardo alla violenza sulle donne che diventa reato contro l’umanità oltre che contro la persona. Ora il testo dovrà passare al Senato prima della definitiva approvazione.
Per le donne sarà davvero cambiato tutto? Il vuoto normativo che le affligge e che le fa sentire spesso sole e non in grado di salvarsi dal femminicidio purtroppo esisterà ancora, soprattutto se alcuni disegni di legge di recente presentazione alla Camera dei Deputati dovessero essere approvati.
Né il recente omicidio di Fabiana Luzzi a Corigliano Calabro, accoltellata e bruciata viva dal suo ex ragazzo né tanti altri potranno ancora essere evitati. E Franca Rame, l’attivista politica famosa per il suo tremendo stupro politico subito, non potrà vedere giustizia nemmeno dall’altro mondo in cui è finita proprio oggi dopo anni di lotte anche contro questo tipo di reati.
MENTRE LA CAMERA APPROVA LA CONVENZIONE DI ISTANBUL ECCO Il DISEGNO DI LEGGE CHE RISCHIANO DI NON RISOLVERE IL PROBLEMA DEL FEMMINICIDIO
E’ stato presentato sotto forma di risoluzioni contro il problema del sovraffollamento carcerario. Il primo firmatario è la deputata del Pd Donatella Ferranti in commissione giustizia nella passata legislatura e rieletta a marzo nella circoscrizione Lazio 2.
Si tratta di una proposta di legge che come possiamo vedere mira ad inserire la discrezionalità del giudice in merito alla misura detentiva per reati che prevedono una pena massima di quattro anni di reclusione. La proposta di legge era già stata presentata durante la sedicesima legislatura ma non aveva visto la luce a causa dell’anticipato scioglimento delle Camere.
“La novità consiste – hanno sottolineato i legislatori nell’atto di presentazione della legge – nel prevedere che il giudice della cognizione nel pronunciare la condanna per reati puniti con pene detentive non superiori a quattro anni possa stabilire che, in luogo della detenzione carceraria, la reclusione o l’arresto siano eseguiti presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, anche per fasce orarie o per giorni della settimana, in misura non inferiore a quindici giorni e non superiore a quattro anni, nel caso di delitto, ovvero non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni, nel caso di contravvenzioni. Tra i delitti puniti con pene detentive non superiori a quattro anni è stato escluso, per evidenti ragioni, il reato di stalking di cui all’articolo 612- bis del codice penale”.
Tutte le vittime di stalking saranno certo felicissime che questo reato è stato escluso dal novero di quelli per i quali si potrà scontare la pena detentiva tra le mura amiche di casa propria invece che insieme a detenuti che per una legge di diritto naturale dei carcerari puniscono severamente chi si rende responsabile di delitti contro donne e bambini.
Fin qui la positività dell’esclusione di un reato che è di certo l’anticamera di quello che può essere definito femminicidio. Tuttavia il legislatore non ha considerato che sentenze con quattro anni di reclusione si possono ottenere anche per reati gravi come lo stalking.
LA CARENZA DELLA LEGGE: E LE CONDANNE CON RITO ABBREVIATO PER IL REATO DI VIOLENZA SESSUALE?
Tra questi reati infatti non è specificato però cosa avviene in caso il condannata a una pena superiore ai quattro anni di reclusione si sia reso colpevole del reato di violenza sessuale.
Nelle linee generali dell’articolo 609 bis è certamente contemplato che chiunque con violenza o minaccia e mediante l’abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi indice qualcuno a compiere o subire atti sessuali: abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto oppure traendola in inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Fin qui tutto regolare se non fosse per la postilla che aggiunge: “nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.
Cosa significa diminuire una pena di cinque anni dei due terzi? Portarla a poco meno di tre anni e quindi inserirla in quei reati per i quali secondo la proposta di legge della deputata Pd può il giudice decidere se far scontare la pena in carcere o ai domiciliari.
Come dovrà agire il giudice in tal caso? A sua discrezione come vedremo più avanti. Una carenza normativa che non ha scusanti soprattutto perché si tratta di un reato altrettanto pericoloso quanto lo stalking.
Certo nel caso di violenze di gruppo oppure di persone che non hanno compiuto 14 anni le pene aumentano dai 6 ai 12 anni. E per chi non ha meno di 10 anni addirittura vanno da 7 a 14 anni.
Cosa succede però se qualcuno di questi imputati in giudizio riesce ad ottenere il processo con il rito abbreviato? Non solo l’imputato evita il dibattimento e la decisione viene presa in camera di consiglio durante l’udienza Gup come disciplinato dall’articolo 438 e seguenti del codice di procedura penale ma ottiene lo sconto secco di un terzo della pena.
Fatto che porterebbe anche le condanne per violenza sessuale che con il rito ordinario avrebbero ottenuto pene a cinque o sei anni a diventare giudizi inferiori o uguali a quattro anni di reclusione. E se la violenza viene giudicata di minore gravità si può anche arrivare a due anni di carcere.
Scontati comodamente a casa propria, se il giudice lo ritiene più opportuno. Lo stesso vale anche per chi è condannato per reati dimaltrattamenti in famiglia che come recita l’articolo 572 del codice penale è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Il capo e del primo articolo del disegno di legge citato prevede che, nella fase dell’esecuzione della pena, il giudice sostituisca le pene previste nelle lettere a) e b) (la sostituzione di cui abbiamo parlato sopra ndr) con le pene della reclusione o dell’arresto, qualora non risulti disponibile un domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato ovvero il comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, risulti incompatibile con la prosecuzione delle stesse, anche sulla base delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato.
Cosa vuol dire domicilio idoneo? Certo il responsabile dei maltrattamenti non verrà rispedito a casa propria a scontare la pena ma potrebbe trovare una nuova abitazione che lo ospita e magari, senza che il giudice lo possa sospettare, continuare a terrorizzare le sue vittime. E anche uscire, come nel caso del violentatore e come è avvenuto nel 2005 ad Angelo Izzo, e riproporre la sua condotta contro la legge senza che il giudice possa impedirlo. Mettendo a rischio uccisione le donne che hanno avuto il coraggio di denunciare maltrattamenti in famiglia e violenze sessuali.
OLTRE AL CONDANNATO PER STALKING E’ ESCLUSO DAI BENEFICI DI LEGGE ANCHE IL DELINQUENTE ABITUALE
Al capo D del primo articolo del disegno di legge si desume che sono esclusi dai benefici anche quelli che vengono definiti delinquenti abituali secondo gli articolo 102-105 del codice penale e 108.
Questa certo può essere una misura che potrebbe difendere le donne future vittime di femminicidio ma fino a che punto? Di certo non potrebbe essere definito delinquente abituale un uomo che magari più volte ha picchiato e violentato la propria compagna ma purtroppo è stato denunciato una volta sola magari proprio perché la donna, dopo anni e anni di vessazioni e minacce, si è stancata e si è rivolta ai carabinieri.
Considerando quindi il sommerso che c’è in Italia per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia e le violenze sessuali e non conoscendo a fondo la mente umana tutto questo non basta a mettere al sicuro le future vittime. Ricordiamo che in Italia solo il 10% di chi subisce stupri o maltrattamenti ha il coraggio di denunciare.
E SE POI RIESCONO AD ABOLIRE ANCHE L’ERGASTOLO LA FRITTATA E’ FATTA
Donne sicure quindi? E’ ancora un miraggio visto che anche la Convenzione di Istanbul dovrà ancora passare per l’approvazione del Senato. Femminicidi in diminuzione nei prossimi anni? Forse sì ma c’è un altro mostro giuridico in agguato che non tende per nulla a scoraggiare gli autori del reato.
Si tratta di proposte di legge che mira all’abolizione dell’ergastolo. In vista ce ne sono due pronte per essere discusse. La prima è un disegno di legge al Senato di Lucio Galan del Gruppo Autonomie e Libertà presentato il 22 maggio di cui il testo non è ancora disponibile perché troppo recente e l’altra è della Camera è di Sandro Gozi del Pd presentata il 17 maggio anch’esso non ancora disponibile perché di recente consegna.
Nessuno dei due testi infatti è stato assegnato ad alcuna commissione per la discussione ma al pari di quello sulla Regione Romagna di cui abbiamo parlato anche qui c’è una sorta di ufficialità della notizia.
Come faranno lo sapremo non appena i testi saranno disponibili ma pensare che il massimo della pena per qualsiasi reato possano essere 30 anni di reclusione come è nell’attuale ordinamento giudiziario tolta la pena dell’ergastolo, il tutto non depone certo a favore di chi vuole evitare che tali reati avvengano. Con buona pace non solo delle donne che continuano a morire.