IL CASO/ Il calvario del Prof. Emmanuel Zagbla, da 30 anni sposato in Italia, cittadino non riconosciuto
All’uomo, di origini ivoriane, da trenta anni in Italia e sposato con un’italiana, non solo non è mai stata riconosciuta la cittadinanza ma ha dovuto subire una serie di terribili ingiustizie. La prima è la mancata discussione della tesi di dottorato di ricerca nel 1995; poi la proclamazione a dottore – tra il 2001 e il 2002 – senza ricevere un centesimo per il lavoro svolto. Nel 2007 il colmo: l’Università di Padova tenta di farlo ricoverare al Reparto di Psichiatria patavino. Zagbla si è rivolto persino alla Presidenza della Repubblica, che però lo ha trattato con cinica indifferenza, invitandolo a rivolgersi “alle autorità competenti”.Ecco l’assurda storia di razzismo e menefreghismo di cui è vittima il Professor Emmanuel Zagbla, simbolo di una generazione di migranti i cui diritti in Italia non vengono ancora riconosciuti, dopo anni spesi a sudare per il Belpaese.
Una storia di ingiustizia, discriminazione e tanta ma davvero tanta sofferenza. Il protagonista è il dottor Emmanuel T. Zagbla, cittadino della Costa D’Avorio, che da anni vive a Padova e dopo trenta di tribolazioni al limite della sopportazione umana, non ha ancora ottenuto la cittadinanza italiana.
“Ho sempre rispettato le regole – ha sottolineato – ma dopo più di trenta anni di residenza legale (è in Italia dal 1981) nonostante avessi una moglie e una figlia italiane mi è stata rifiutata la cittadinanza. Per un motivo assurdo quanto incredibile. Non si può chiedere infatti, stando alla legge, la cittadinanza italiana per motivi di carriera”.
UNA STORIA IN CUI NON SI È SENTITO MAI UN UOMO
Emmanuel entra in Italia per studiare Scienze Politiche all’Università di Padova. Non entra per fare l’operaio ma per accrescere la propria cultura e perché no, diventare anche qualcuno nella vita. Un sogno che però gli è costato davvero caro. Emmanuel non si arrende però.
“Mi sono sempre sentito un falconiano– sostiene – e ho capito il diniego per eccesso di legalità. Voglio però dire che andrò avanti perché in questa storia ho sempre detto la verità”. .
In Italia dal 1981 si laurea in Scienze politiche il 27 Novembre 1990 presso l’Università di Padova. Subito dopo ha partecipato al concorso per il Dottorato di ricerca in Relazioni internazionali.
Era il 1992 quando gli viene assegnato il dottor Antonio Papisca come tutor. E qui inizia il calvario del nostro sfortunato e bersagliato protagonista. Infatti è stato proprio questo professore a rifiutarsi di riceverlo. Da qui sono iniziate le denunce al preside della Facoltà di Scienze Politiche. Il tutor ha continuato a rifiutarsi di riceverlo mentre Emmanuel ha continuato a seguire le lezioni e tre anni più tardi, nel 1995 ha presentato una tesi di dottorato dal titolo “Le implicazioni delle politica internazionale nei processi migratori in Africa”.
LA PRIMA INGIUSTIZIA GRAVE: L’UNIVERSITÀ NON GLI FA DISCUTERE LA TESI
Una copia della tesi era stata consegnata un mese prima al tutor. Alcune settimane dopo, come prescrive la buona normativa sui rapporti tra studente e docente, Emmanuel chiede al suo tutor di sapere come è il suo lavoro, se lo deve rifare oppure se deve rimandare la discussione. Un muro di gomma gli rimbalza contro. Il tutor risponde: “Lo saprà il 4 dicembre”. Che poi era lo stesso della discussione.
Il giorno stesso si siede davanti alla Commissione. Lì conosce il suo amaro verdetto: “Lei non passa perché il titolo non coincide con il contenuto”. Il tutto davanti ai colleghi attoniti ed Emmanuel che cerca di spiegare che forse il tutto è dovuto ai suoi evidenti problemi di lingua e dal fatto di essere stato lasciato solo: nulla da fare. L’università è indifferente e lo boccia senza pietà. Il motivo di questa storia forse potrebbe essere sintetizzato da un articolo di giornale allora proposto dal Mattino di Padova nel quale si leggeva nel titolo: “Un Africano a un passo dalla docenza in città”. L’autore dell’articolo ha subito una querela da Emmanuel che li ha diffidati a scrivere ancora di lui.
DOPO SEI ANNI VIENE PROCLAMATO DOTTORE DI RICERCA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI
È il 5 luglio del 2001 quando ha avuto la possibilità di superare l’esame e di diventare dottore di ricerca in Relazioni Internazionali. In sei anni ebbe la compensazione economica per il lavoro svolto? Certo che no ed è qui che scatta la seconda ingiustizia che l’Università di Padova mette in atto nei confronti di Emmanuel. Una cosa forse ancora più grave della seconda. L’allora Rettore gliela promise e il giorno della vigilia della proclamazione ufficiale lo chiamò nel suo ufficio.
In compagnia di un amico italiano seppe che aveva risolto il problema del compenso economico. Lo affidò per questa cosa a un professore che si occupava di cooperazione allo Sviluppo. Solo andando da lui seppe che il Rettore non lo aveva mai contattato e che quest’ultimo docente non sapeva nulla di lui. Perché allora il Rettore promise e non mantenne? Semplicemente per cautelarsi da un’eventuale reazione negativa da parte di Emmanuel durante la cerimonia davanti alle autorità cittadine e alla stampa. Il giorno successivo infatti era come se non fosse accaduto nulla.
IL PROBLEMA ERA PIÙ COMPLESSO: IL DOTTORATO NON FU MESSO IN ARCHIVIO PER TRE ANNI
Come fare a dare il compenso al dottore Ivoriano se nell’archivio informatico dell’Università di Padova non era mai stato registrato. Era questo il vero motivo per il quale Emmanuel non aveva ricevuto nessun assegno di ricerca.
Nel mese di agosto il nostro sfortunato protagonista si era recato in Costa d’Avorio per parlare della diaspora ad Abidjan. Fu allora che un collega ivoriano cercò i documenti di Emmanuel per sapere se fosse davvero insignito del titolo di dottore di ricerca a Padova.
Fu allora che oltre al danno fu scoperta la beffa: il Dottorato ottenuto dopo tanti sacrifici, per più di tre anni, vale a dire dal 05 Luglio 2001 fino al 15 Settembre 2004, è rimasto in qualche cassetto, fuori dell’archivio elettronico ufficiale del sito dell’università di Padova dove vi erano però tutti gli altri dottorati, i titoli e gli anni del conseguimento”.
Il calvario non finisce qui: Emmanuel chiede per curiosità anche i verbali della Commissione del 4 dicembre 1995 per scoprire una cosa che lui stesso ha definito “rivoltante”: la Commissione ha scritto che durante la discussione dell’elaborato non sono stato all’altezza; che le argomentazioni sollevate non corrispondevano al tema assegnatomi. Un giudizio totalmente fasullo perché il nostro dottore ivoriano non ebbe nemmeno la possibilità di discutere la sua tesi davanti alla Commissione.
LE DENUNCE: E L’UNIVERSITÀ CHIAMA IL REPARTO DI PSICHIATRIA
Una volta scoperti tutti gli altarini Emmanuel passa alle vie di fatto e va a denunciare gli autori delle ingiustizie. Si reca in primis al Commissariato di polizia di Padova. La prima volta che lo fa (siamo nel 2004) viene invitato a non proseguire nella stessa. Poi presenta una lettera con informativa alla Questura di Padova per la richiesta del denaro della borsa di studio.
“In un’altra circostanza la polizia – ci ha raccontato con la voce spezzata dal dolore per l’ingiustizia subita – non soltanto non mi ascoltava ma mi disse che non era possibile che quella persona che io avevo denunciato potesse fare queste cose”.
Chiede aiuto anche a uno studente rwandese che aveva assistito a tutte le fasi e quest’ultimo si disse disposto ad aiutarlo ma al 75% perché aveva problemi con la sua posizione di rifugiato.
“Nella storia – ha continuato a raccontarci Emmanuel – sono entrati via via anche studenti che avevano sostenuto esami con me. Tutti però non si sono mai interessati della mia vicenda, hanno preferito girarsi dall’altra parte”.
Nel frattempo le forze di polizia hanno aperto inchieste girate alla Procura di Padova per accertare i fatti. Cosa accade però nel 2007? Un fatto che segnerà in maniera irreversibile la vita di Emmanuel. E come gli si può dare torto.
“Il 5 Marzo 2007 – ce lo racconta lui stesso come ha fatto anche con le forze dell’ordine alle quali si è rivolto – alla vigilia dell’apertura dell’anno accademico, mi presentai al rettorato coi miei diplomi (Laurea in Scienze Politiche, conseguito presso questa università il 27/11/1990, Diploma di dottore di ricerca in Relazioni Internazionali). Il mio obiettivo era lo stesso: la compensazione economica promessa dall’università. Al posto della compensazione, l’Università fece chiamare due ambulanze per portarmi in psichiatria!”.
Tutto questo naturalmente avvenne alla presenza di persone che non hanno mai appoggiato Emmanuel. Una persona colpita da una grave ingiustizia che addirittura doveva essere portata via dall’Ateneo con due ambulanze. Siamo davvero alla follia.
L’ARCHIVIAZIONE DELLE INDAGINI E LE LETTERE ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
Nel 2009 il procuratore di Padova ha chiuso definitivamente le indagini sul caso. Secondo la giustizia degli uomini Emmanuel non ha subito nulla di discriminante. Non era stato perseguitato da nessuno visto che era stato anche invitato alla proclamazione dei dottorati avvenuta nel 2002.
Nonostante questo però non si arrende. Continua nella sua ricerca della verità. E sulla questione dei rimborsi e del mancato ottenimento della cittadinanza ha scritto anche alla Presidenza della Repubblica. La prima volta nel 1999 quando al vertice c’era Carlo Azeglio Ciampi e poi ancora quando la carica è passata nelle mani di Giorgio Napolitano.
Un fax di poche righe di risposta in cui si diceva: “si rivolga alle autorità competenti”. Emmanuel però è deluso dalla giustizia. Questura, Prefettura e Procura hanno sostenuto che non c’è stato alcun reato nel comportamento dell’Università. Mentre Emmanuel nel 2008 ha scritto l’ultima lettera all’Ateneo per tentare in qualche modo di ottenere giustizia. Nel 2010 ha scritto al Ministero dell’Università e al Rettore e al Ministero delle Pari Opportunità per chiedere di inviare un ispettore all’ateneo padovano per verificare quanto accaduto e se si fosse verificata l’ipotesi che tutto questo sia avvenuto per una sola ragione: l’appartenenza di Emmanuel alla razza africana.
“Sto pensando di rivolgermi – ha concluso Emmanuel – alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. È l’unica strada che mi rimane da percorrere. Per ora non l’ho fatto per non affossare l’immagine dell’Italia agli occhi del mondo ma ora ci sto pensando seriamente”.
Un altro passo possibile è quello di rivolgersi anche alla stampa estera per segnalare questo caso di trenta anni di ingiustizie e sofferenze. Perché tutto il mondo sappia che esistono terribili crudeltà anche negli ambienti più impensabili: le Università Italiane.
Tutto questo per cosa? Per non aver voluto versare a un ricercatore gli 82mila euro che gli spettavano di diritto nei sei anni in cui ha lavorato per l’ateneo padovano. Per una richiesta danni di due milioni di euro.